Perché c’è chi non riesce a rilassarsi sul divano la sera senza avventarsi su un barattolo di gelato o un sacchetto di patatine? In tante mi avete chiesto di parlare del rapporto tra emozioni e cibo. Per affrontare un argomento così importante ho coinvolto la dott.ssa Mariachiara Febbrari, psicologa e psicoterapeuta in formazione: con lei abbiamo fatto una diretta Instagram (che puoi vedere sul mio profilo instagram @fitisbeauty_official) e ora…. approfondiamo!
Partiamo da qui: alimentazione emotiva e fame nervosa sono la stessa cosa?
Spesso sono usati come sinonimi ma la prima contiene la possibilità di collegare più emozioni con la fame, parlare invece di fame nervosa sembra da subito dare una connotazione negativa e chiudere il campo emotivo.
Dobbiamo leggerla come una spia che si accende, un campanello di allarme e non come qualcosa da combattere e basta. Bisogna cercare di capire cosa c’è che non va. Infatti, se cerco di controllare l’alimentazione e mi costringo a mangiare poco, sono già nell’anticamera della fame emotiva. E’ difficile leggere l’emozione sottostante, a volte c’è la rabbia, a volte la frustrazione, il senso di impotenza, a volte i bisogni ma di sottofondo c’è sempre il tentativo di non ascoltare quell’emozione o quello stato emotivo, vissuti come intollerabili.
All’inizio occorre trovare delle strategie per riconoscere se è una fame vera, ad esempio si può provare a bere, perché non è raro scambiare la sete per fame.
Purtroppo spesso mangiamo ma non sappiamo quello che stiamo mangiando, distratti dal cellulare o dal computer. Invece il pasto è prima di tutto un momento di piacere.
Un disturbo “strisciante”
In genere rispetto a questo ambito chi si occupa della cura si interessa di chi ha un disturbo alimentare che, per essere tale, deve avere dei criteri diagnostici (quindi sintomi con un’intensità e una durata specifici). In questo modo però tutte le situazioni sub-cliniche non conclamate rimangono un po’ nascoste: ad esempio, nel corso della vita si possono avere degli episodi di inappetenza senza che questo implichi una significativa riduzione del peso e quindi una presa in carico clinica oppure episodi di abbuffata senza che sia diagnosticabile il disturbo da bing eating.
Alla fine anche la persona interessata non crede di avere un problema. Ci sono situazioni che si protraggono per tutta la vita, con momenti di controllo e discontrollo o attività di compensazione (dal vomito allo sport finalizzato a consumare le calorie dell’abbuffata). Si fanno operazioni di taglio, aggiunta del cibo, e si mettono in atto strategie allo scopo di controllare ciò che c’è sotto (salto il pranzo perché stasera mangerò tanto, faccio qualche giorno senza carboidrati così peso di meno, mangio nel piatto piccolo così il cibo sembra di più….)
Come va affrontato?
Con un percorso multidisciplinare, perché i problemi legati al cibo non riguardano solo la sfera alimentare. E’ fondamentale svolgere un percorso psicologico in cui contestualizzare in modo soggettivo ciò che, il sintomo alimentare vuole segnalare nella vita di una persona, vi ricordate la metafora della spia che si accende di cui parlavamo prima?
Congiuntamente le persone con alimentazione emotiva hanno bisogno di un piano alimentare non restrittivo che la porti a non sentirsi in colpa se mangiano. Siccome ci sono problematiche legate alla percezione del corpo occorre anche un personal trainer che guidi la persona a fare sport non in modo compensatorio ma come riconnessione con il proprio corpo e con la respirazione. Al contrario, allenarsi in sostituzione ad alimentarsi o per smaltire le calorie ingerite non funziona. Lo sport deve essere un elemento che aggiunge benessere. E va calibrato: se una persona ama camminare non si può mandarla in palestra a fare pesi, perché stiamo costringendola a uno sforzo che la porta “fuori da se”, allontanandola dalla consapevolezza. Bisogna aiutare le persone a raggiungere un equilibrio, quindi devono essere in grado di portare avanti un’attività piacevole a lungo termine. Se mi devo sforzare ed è solo dovere, non durerà e si arriverà all’abbandono.
Obbiettivo, prendersi cura
L’approccio prioritario è guardare cosa c’è all’interno di questi meccanismi, dentro la nostra storia, a come siamo e come siamo cresciuti per capire come mai alla punta dell’iceberg c’è il cibo. Non basta prendere una pastiglia, non risolve il problema. Prima accettiamo che sia una questione irrisolta che ci portiamo avanti da tanto tempo, prima iniziamo a prenderci davvero cura di noi. Inizierò a chiedermi se il nutrizionista da cui vado ha questo approccio o mi fa sentire in colpa, se il personal trainer mi costringe a sollevare tot chili perché altrimenti io la massa muscolare non la faccio, o se lo psicologo non ascolta in modo profondo quello che ho da dire. Nel momento in cui capiamo che dobbiamo prenderci cura iniziamo a fare delle scelte, inclusa quella delle persone che ci possono aiutare, scegliendole nello specifico e non solo in quanto “professionisti in quel campo”.
In conclusione aggiungo la mia esperienza personale. Anch’io ho sofferto di disturbi alimentari prima di trovare nello sport una via di salvezza, perché quando lo faccio sto bene e mi da benessere. Ritrovando l’equilibrio psicofisico, e imparando a mangiare bene, ho debellato la fame nervosa. Nella App Fit Is Beauty non esistono diete restrittive proprio per non innescare un circolo vizioso, so bene che la privazione è la cosa peggiore. Sono convinta che non bisogna trasformare le persone ma insegnare uno stile di vita che permetta di raggiungere l’equilibrio psicologico. E credo che questo stile di vita corretto sia fatto di tre pilastri: fitness, alimentazione e prendersi cura di sé.
Con la collaborazione della dott.ssa Mariachiara Ferrari, psicologa clinica e psicoterapeuta in formazione. Diplomata al Conservatorio come pianista, utilizza insieme agli strumenti della psicologia e della psicoterapia, la musica, facilitando un dialogo istintivo e creativo con le voci interne.