Ciao ragazze, oggi vi parlo della food addiction, un disturbo caratterizzato dalla perdita di controllo totale di fronte al cibo.
La dipendenza da cibo, come la maggior parte delle patologie esistenti, richiede una cura a 360 gradi. Non esiste una pillola magica che possa placare la fame ma esistono strumenti che, se utilizzati in modo costante, possono portare l’individuo a uno stato di benessere fisico, psicologico ed emotivo.
Come sapere se si è dipendenti da cibo, ossia food-addicted?
E come si può gestire questa patologia per ritrovare il proprio equilibrio?
Innanzitutto si parte dalla consapevolezza del proprio problema. Una delle problematiche più gravi legate alla dipendenza è la tendenza a trovare delle scuse o delle motivazioni per continuare ad abusare della sostanza per raggiungere una soglia di normalità, ovvero uno stato in cui l’ossessione si placa essendo riusciti a soddisfare la voglia. Si parla infatti di denial, ovvero di negazione del problema (il problema di mangiare compulsivamente). La negazione è la conseguenza di una mente “dipendente” che, stimolata da un certo alimento o bevanda (la maggior parte delle volte cibi zuccherini o processati o ricchi di grasso), convince l’individuo a mangiare a tutti i costi. La nostra parte razionale responsabile della presa decisionale (che trova sede nella corteccia prefrontale del sistema nervoso centrale) nel momento in cui mangiamo dei cibi cosiddetti rossi, ovvero dei cibi che scatenano la nostra dipendenza, si spegne e viene totalmente dominata da quella parte del cervello che plasma il nostro sistema di ricompensa (nucleus accumbens). Questa parte è anche coinvolta nel pathway della dipendenza spiegando razionalmente il perché, quando un mangiatore compulsivo “cede”, inventa qualsiasi tipo di scusa per legittimare il proprio comportamento. Una volta inquadrato il problema, ci si può rivolgere a uno specialista (solitamente un food addiction counselor) che può guidare l’individuo a una gestione sana della dipendenza.
Esistono degli assessment tools, ovvero degli strumenti di valutazione, (solitamente dei questionari) come lo “Yale Food Addiction Scale”, che aiutano a determinare se un individuo sia un mangiatore cosiddetto normale, un mangiatore emotivo o un cibo dipendente. Una volta determinato, si passa alla delineazione dei trigger food, ovvero i cibi che fanno perdere il controllo.
Per ogni persona, il cibo scatenante varia. Possono essere latticini, zucchero, pasta, il grasso nelle bistecche, il latte, il cioccolato, le noccioline salate o le noci normali. Ogni alimento, per queste persone, altera la struttura neurochimica nel cervello, influenzando di conseguenza il normale funzionamento dei neurotrasmettitori, come dopamina, seratonina, endorfine.
Si lavora con il counselor, che aiuta ad individuare gli alimenti problematici e sviluppare poi con un biologo nutrizionista un piano alimentare astinente (non una dieta) privo dei trigger foods. Per coloro che invece soddisfano la loro dipendenza attraverso il consumo di grandi quantità di cibo (i volume food addicts), si lavorerà con una bilancia per stabilire delle porzioni adeguate. Per molti, il fatto di avere una bilancia, aiuta ad avere un senso di libertà da pensieri ossessivi, scrollandosi di dosso la voglia di mangiare di più.
La dipendenza può avere una componente ereditaria, può svilupparsi nel corso del tempo a furia di consumare cibi iperprocessati (poiché a lungo andare, alterano il sistema di ricompensa e piacere nel cervello) può svilupparsi come meccanismo per regolare il proprio sistema nervoso in seguito a una trauma (grave o meno).
Una volta individuati i cibi rossi, il passo successivo è quello di delineare un piano di astinenza che un individuo possa applicare attivamente nella propria vita. Ogni counselor utilizza tecniche diverse ma di base l’obiettivo resta comune a tutti: prevenire i comportamenti compulsivi attraverso un piano d’azione. In base ai bisogni dell’individuo e al grado della sua dipendenza, con un team interdisciplinare (nutrizionista, psicologo se necessario, personal trainer, medico di base etc..) si disegna un piano per prendersi cura della sua salute fisica, emotiva, mentale e spirituale, dato che la dipendenza presenta delle ripercussioni ad ogni livello. Si implementerà nel piano un programma attività fisica per mantenere una buona salute e per sviluppare un nuovo modo di far fronte a situazioni fastidiose o sconfortanti. Sul piano emotivo, l’individuo impara ad acquisire dei metodi per discernere le proprie emozioni e gestirle correttamente, senza sfuggire, reprimere o nascondere i propri sentimenti. Impara a riconoscere gli eventi che scatenano il suo malessere (persone, situazioni, modi di pensare etc..) e il false thinking ovvero la voce interiore della dipendenza che porta il soggetto a credere che la sua sopravvivenza dipenda dal suo specifico alimento. Si sviluppano poi delle strategie per prevenire reazioni che possono sfociare in un’abbuffata. La base del recupero emotivo è la resa, ovvero l’accettazione totale del fatto che si ha una dipendenza e che non possiamo controllarla con la volontà.
Ogni giorno si mantiene un contatto aperto con un counselor o una persona fidata (tipicamente un’altra persona cibo dipendente che però mantiene l’astinenza) e si comunicano i cibi consumati quel giorno, in modo da riuscire ad individuare, e in futuro prevenire, i motivi per i quali il dipendente non è riuscito a seguire il piano. Molto spesso si consiglia di tenere un diario del cibo e delle emozioni, per scrivere e comunicare il proprio stato d’animo in relazione ai cibi assunti, la tipologia e le quantità.
Si consiglia inoltre, di partecipare alle riunioni degli OA (Overeaters Anonymous) per venire a contatto con altri mangiatori compulsivi.
L’educazione è una parte altrettanto fondamentale per il recupero del soggetto. La trasmissione di informazioni riguardo la dipendenza, i processi neurochimici coinvolti, il concetto di craving e di ossessione, sono tutte delle nozioni importanti per affrontare al meglio la dipendenza.
Insieme, il counselor e il paziente, esplorano varie metodologie per gestire il proprio mondo interiore: alcuni intraprendono un percorso psicologico, meditativo o utilizzano il neuro- feedback. Altri si affidano al modello dei dodici passi, utilizzato principalmente da Alcolisti Anonimi nella gestione della dipendenza. Qualsiasi metodologia che sostiene il paziente a mantenere l’astinenza è quella giusta, non esiste una soluzione univoca per tutti. Il counselor agisce come guida e come sostenitore del recupero, offrendo mezzi e alternative. La gestione di una dipendenza è qualcosa che dura tutta una vita ed è quindi importante pensare a lungo termine, accettare se stessi con amorevolezza senza colpevolizzarsi e condannarsi. La dipendenza fa parte di una persona, ma non la definisce.
È importante l’aderenza al piano d’astinenza per gestire al meglio la propria vita, con tutto il supporto necessario, al fine di poterla migliorare e trovare finalmente salute e serenità.
Con la consulenza di Julia Soprani – Food addiction counselor
#behealthy