Buongiorno ragazze, oggi torniamo a parlare di longevità perché a fine marzo ho partecipato agli incontri della seconda edizione del Milan Longevity Summit (milanlongevitysummit.org), ricchissimi di spunti interessanti. La prima notizia? Ancora una volta è stato sottolineato il ruolo chiave degli stili di vita per un invecchiamento sano, quella combinazione di dieta, esercizio e sonno che il Premio Nobel Venkatraman Ramakrishnan ha definito la “trinità della salute”. A proposito dei benefici dell’attività fisica, che mi stanno particolarmente a cuore, voglio condividere con voi alcune “scoperte” che ho fatto nella giornata ad alto contenuto scientifico organizzata da SoLongevity (solongevity.com). Una buona dose di motivazioni in più per continuare ad allenarci!

Inflammaging ed esposoma

L’infiammazione in sé è un processo positivo perché ci protegge dalle infezioni, ma non va bene se si prolunga nel tempo come avviene nel caso dell’infiammazione cronica di basso grado. Pedro Carrera Bastos, nutrizionista e ricercatore in Health Science all’Università di Lund in Svezia, studia proprio questo tipo di infiammazione silente, chiamata inflammaging, che è correlata con l’invecchiamento. A trainarla sono soprattutto i fattori ambientali, cioè l’esposoma, che comprende tre gruppi: esposoma esterno (inquinamento, esposizione ai raggi UV, sostanze chimiche), interno (ormoni, tessuto adiposo – soprattutto il grasso viscerale su cui si può agire con l’attività fisica-, microbiota) e personale (fumo, sonno, stress, salute orale, attività fisica/sedentarietà, nutrizione).

La soluzione all’inflammaging non va cercata in un unico approccio ma in una molteplicità di interventi. A partire dalle nostre abitudini quotidiane, perché il primo alleato è uno stile di vita sano.

I danni della sedentarietà

Fin dalla giovane età, lo stile di vita attiva la traiettoria che determina un invecchiamento sano o uno malato. Uno studio ha dimostrato che, anche nelle persone giovani allettate, la sedentarietà produce danni: infatti lo stile di vita impatta sulla rete mitocondriale e fa produrre citochine infiammatorie che contribuisco a infiammazione locale e sistemica. Con l’invecchiamento si frammenta la rete mitocondriale nel muscolo e questo comporta minore capacità di generare energia e più stress ossidativo. La conclusione è che l’inattività fisica a livello muscolare contribuisce in modo sostanziale all’inflammaging.

Un nuovo gene anti-età, Mytho

Una ricerca internazionale guidata da Marco Sandri dell’Università di Padova ha scoperto un nuovo gene che impatta sulla longevità delle cellule e lo ha ribattezzato Mytho, acronimo che significa ottimizzatore di giovinezza e del sistema di pulizia cellulare. È un gene espresso soprattutto nel cervello e nel muscolo, ma anche nelle gonadi. Solo i longevi ne hanno livelli alti, al contrario la sua disattivazione è la causa di molte patologie legate all’invecchiamento. Cosa fa Mytho? Quando si danneggia qualcosa lo porta nel sistema di degradazione, ovvero regola processo di autofagia che è fondamentale per mantenere le cellule sane. Si è scoperto che questo gene è modulabile e risponde alla restrizione calorica e all’attività fisica.

Klotho, la proteina che rallenta l’invecchiamento

Oggi sappiamo che questa proteina, scoperta nel 1997, ci protegge da diverse malattie ed è correlata all’invecchiamento in salute. Le cellule staminali renali producono un tipo di proteina Klotho, detta alpha-Klotho, che passa nel sangue con effetto anti-infiammatorio, antiossidante e anti-invecchiamento. Inoltre, alti livelli di Klotho nel sangue sembrano correlati a migliori funzioni cognitive e migliore memoria. Questa proteina, che potrebbe essere usata come un biomarcatore dell’età biologica, diminuisce con l’avanzare dell’età e in caso di malattie renali croniche, Cosa aiuta ad aumentarne i livelli? Una buona funzionalità renale, alcune sostanze naturali e farmaci -ancora in fase di studio- che fanno da attivatori diretti, e l’attività fisica.

Riserva cognitiva e brain aging

La specie umana ha due clock, a 40 e a 60 anni, a cui nella donna sia somma la menopausa. In questa finestra di età la dieta e l’esercizio hanno un ruolo terapeutico, perché consentono di modificare qualsiasi aspetto a livello cellulare e aiutano a ridurre il declino cognitivo.

Gli studi di Daniela Perani, professore di Neuroscienze all’Università San Raffaele di Milano,

dimostrano che una riserva cognitiva maggiore agisce da fattore protettivo, ritardando l’espressione dei sintomi delle malattie neurodegenerative correlate all’età. Cosa incide positivamente sulla riserva cognitiva? Alti livelli di educazione, occupazione continua, il biliguismo, una vita sociale attiva, la pratica della musica, una dieta equilibrata e l’attività motoria. Le evidenze dimostrano che l’inattività fa raggiungere prima una soglia critica all’insorgenza dei disturbi cognitivi, mentre due sessioni serie di esercizio alla settimana sembrano bastare per proteggere la salute del cervello e del cuore. Inoltre, nel caso della malattia di Parkinson l’attività fisica aumenta la riserva motoria, migliora la prognosi e diminuisce la quantità di terapia utile per controllare i sintomi.

La riserva cognitiva si costruisce nell’arco di una vita ma, per fortuna, il cervello è plastico e quindi non è mai troppo tardi per intervenire.

Nella foto: da sin Dr. Valerio Solari – Longevity Doctor; Giulia; Sofia della Valle – Clinic Coordinator in SoLongevity; Dr. Alberto Cerasari – Longevity Doctor; Dario Morelli – Trainer del Respiro

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